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Arte marziale tra le più note, il Thai Chi Chuan (detto più semplicemente thai chi) è sia una strategia di difesa personale, sia sopratutto in occidente, una tecnica di ginnastica dolce.
Il suo nome cinese significa "il pugno del fine supremo", in riferimento al particolare status che gli viene riconosciuto tra tutte le arti marziali.
Il Thai Chi è una sequenza di posture che si evolvono l'una nell'altra. Le sequenze o forme variano per complessità: alcune prevedono diciotto, altre più di cento posture diverse.
Gli studenti si muovono da una postura all'altra in un movimento fluido, simile a una danza. Benché apparentemente non si tratti di un esercizio impegnativo, come il karate o il judo, occorrono anni per impararlo. I movimenti si apprendono con lentezza e concentrazione, in uno stato di azione riposante nella quale la mente può soffermarsi su ciascun gesto.
Ma il ritmo della lezione può accelerare via via che gli allievi acquistano maggiore agilità e abilità. LE RADICI DEL THAI CHI Le origini del Thai Chi sono oscure. Da alcuni documenti risulta che fosse già praticato 5000 anni fa: in alcuni antichi disegni cinesi si possono vedere infatti dei monaci che eseguono movimenti assai simili a quelli del Thai Chi. Secondo altre fonti l'iniziatore del Thai Chi sarebbe un monaco del XIII sec., studente di Kung Fu presso un monastero cinese, che avendo assistito alla lotta fra un uccello e un serpente, notò come quest'ultimo riuscisse a evitare gli attacchi del'uccello con movimenti sottili e rapidi. Proprio da queste osservazioni scaturì l'arte del Thai Chi. Come l'Aikido, l'arte marziale giapponese, anche il Thai Chi è influenzato dalla filosofia del Tao, "La Via". Lao-tze, il filosofo cinese fondatore del taoismo, sottolineava come il genere umano dovesse cercare l'armonia con la natura e tutto l'universo.
Quando c'è piena armonia, le cose funzionano senza sforzo spontaneamente, in accordo con le leggi naturali. Anche il corpo segue gli stessi principi. "L'uomo quando è vivo, è morbido e duttile" scriveva Lao-tze "e l'albero è tenero e fragile". Chi pratica il Thai Chi sa che morbidezza e duttilità si sviluppano coltivando la forza vitale, il Qi, che scorre attraverso il corpo.
LA CHIAREZZA DELLA CONTRADDIZIONE Tra gli aspetti più affascinanti del Thai Chi sono le contraddizioni e gli apparenti paradossi, radicati nel concetto cinese di yin e yang, la legge degli opposti complementari. Lo stato di vigile rilassamento, per esempio, è essenziale per l'esecuzione di ogni movimento. Il corpo dovrebbe rimanere morbido, ma non fino al punto di afflosciarsi.
Così, in ogni movimento è contenuto un accenno di segno opposto. Una svolta a destra, per esempio, comincia sempre con una impercettibile rotazione a sinistra; un movimento verso l'alto comincia con un lieve abbassamento. Le stesse spinte riescono meglio se non si applica nessuna forza: le braccia e le spalle sono rilassate, i gomiti ricadono liberamente e i palmi dei due avversari si incontrano senza toccarsi. Ogni movimento, nel Thai Chi, descrive un cerchio, una spirale o un arco, con un effetto definito talvolta come "ricerca curva della linearità", in riferimento all'indispensabile curvatura degli arti. Il paradosso più grande del Thai Chi è quello relativo al principio di duttilità. Elasticità esteriore e fermezza interiore, insieme, possono avere la meglio contro la forza bruta. Nelle tecniche di autodifesa, i praticanti non cercano mai lo scontro fra due forze ma piuttosto cedono per evitare il colpo dell'avversario e poi si servono della spinta ricevuta per restituirlo. Come avverte una massima popolare: "quattro once possono farne ruzzolare mille"
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